Putin è finito nella «trappola imperiale»?

Secondo l'esperto di storia bellica Mankoff, nella guerra in Ucraina Mosca ha sottovalutato la coesione occidentale, la durata delle sanzioni e la disponibilità di Stati Uniti ed Europa a sostenere Kiev con armi, intelligence e risorse finanziarie. È l'ultimo capitolo di una lunga serie di guerre imperiali fallite?
C’è il breve termine e il lungo termine. Nell’immediato Putin può ancora tentare di estrarre il massimo risultato possibile in Ucraina, sia sul terreno militare sia su quello diplomatico. A lungo andare però la storia non sarà clemente con lui. Troppe scommesse gli sono andate male in questo conflitto. E anche sui terreni dove sembra vincitore, i prezzi che la sua nazione ha pagato, e quelli che pagherà in futuro, sono troppo elevati. In questo senso Putin non è «nuovo»: la storia del suo paese è costellata di guerre sbagliate, di avventure militaristiche finite male, per errori di calcolo di tanti Zar o leader sovietici.
Lo dimostra un saggio di Jeffrey Mankoff, grande esperto di storia bellica, docente presso l’università delle forze armate Usa. Distinguished Fellow presso l’Institute for National Strategic Studies della National Defense University e Senior Associate al Center for Strategic and International Studies (CSIS), Mankoff è autore di saggi importanti come “Russian Foreign Policy: The Return of Great Power Politics” (2012) e “Empires of Eurasia: How Imperial Legacies Shape International Security” (2022). A proposito della Guerra in corso in Ucraina, col distacco dello storico lui evoca una «trappola imperiale» in cui Putin si è cacciato come tanti suoi predecessori.
Mankoff analizza la guerra russa in Ucraina come l’ultimo capitolo di una lunga serie di guerre imperiali fallite nella storia russa. Sostiene che, dietro l’apparente resilienza del Cremlino e i progressi tattici sul campo di battaglia, si stiano accumulando tensioni strutturali profonde – economiche, sociali, demografiche e politiche – analoghe a quelle che in passato hanno costretto la Russia zarista o sovietica a ritirarsi da conflitti di conquista, spesso pagando un prezzo molto alto in termini di stabilità interna.
Il punto di partenza è il mutamento del clima diplomatico emerso alla fine del 2025, con la presentazione di un piano di pace statunitense in 28 punti e la crescente convinzione, diffusa tra osservatori occidentali, che l’Ucraina stia perdendo la guerra. Questa lettura si fonda su dati reali: la perdita di territori, le difficoltà di reclutamento, i bombardamenti sulle infrastrutture critiche, la pressione sull’economia e persino scandali politici interni che hanno coinvolto il vertice dello Stato ucraino, incluso l’entourage del presidente Zelensky.
Secondo Mankoff, tuttavia, questa narrazione trascura un elemento cruciale: anche la Russia mostra per la prima volta dal 2022 un interesse concreto per negoziati di sostanza. Ciò suggerisce che, nonostante la posizione militare favorevole di Mosca, il conflitto stia producendo costi crescenti e rischi sistemici per la Russia. Il tempo non lavora solo a favore del Cremlino.
La trappola imperiale e i suoi antefatti
Il cuore del saggio è il confronto tra la guerra in Ucraina e una serie di precedenti storici: la guerra di Crimea del 1853–56, la guerra russo-giapponese del 1904–05, la Prima guerra mondiale e la guerra sovietica in Afghanistan. Tutti questi conflitti presentano caratteristiche comuni: furono guerre di scelta, motivate da ambizioni territoriali o imperiali, avviate sulla base di gravi sottovalutazioni del nemico e concluse con sconfitte militari o ritirate umilianti, seguite da profonde crisi politiche interne.
In ciascun caso, i leader russi mostrarono una fiducia eccessiva nella propria superiorità militare e una scarsa comprensione della resilienza sociale dei nemici. Così come Nicola I sottovalutò l’Impero Ottomano e Nicola II il Giappone, Putin ha creduto che l’Ucraina sarebbe crollata in pochi giorni. La realtà è stata una guerra di logoramento durata anni.
Un secondo elemento ricorrente nei fallimenti imperiali russi è la sottovalutazione del coinvolgimento straniero. In Crimea, l’intervento anglo-francese trasformò un conflitto regionale in una guerra su più fronti. Nel 1904–05, il supporto britannico al Giappone fu decisivo. Durante la Prima guerra mondiale, la Russia si trovò a combattere contro coalizioni industrialmente e logisticamente superiori. In Afghanistan, l’armamento dei mujaheddin da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati logorò l’Armata Rossa per quasi un decennio. Secondo Mankoff, la guerra in Ucraina ricalca questo schema: Mosca ha sottovalutato la coesione occidentale, la durata delle sanzioni e la disponibilità di Stati Uniti ed Europa a sostenere Kiev con armi, intelligence e risorse finanziarie.
Rispetto ai precedenti storici, la Russia di Putin ha tuttavia mostrato una capacità di adattamento superiore. Il Cremlino è riuscito a evitare il collasso economico, mantenendo una stabilità macroeconomica nonostante sanzioni senza precedenti. La Banca centrale ha difeso il rublo e contenuto l’inflazione, anche a costo di deprimere la crescita. L’apparato militare ha ridotto la dipendenza dai coscritti, puntando su mercenari, detenuti e soldati a contratto ben pagati, limitando così l’impatto politico delle perdite umane. Sul piano tecnologico, la Russia ha dimostrato capacità di innovazione, soprattutto nell’uso di droni, missili e sistemi di comunicazione, colmando alcune lacune storiche del suo apparato militare.
Nonostante questi successi tattici, Mankoff sottolinea che le debolezze strutturali russe restano irrisolte. La spesa militare – oltre il 7 percento del PIL – è insostenibile nel medio periodo. L’economia civile ristagna, le bancarotte aumentano, il mercato azionario perde valore e il bilancio statale accumula deficit crescenti, mentre il Fondo nazionale del Welfare si esaurisce. La guerra sta inoltre accelerando il declassamento dell’economia russa, già penalizzata dalle sanzioni e dall’uscita delle imprese occidentali. La riconversione industriale verso il settore militare non genera crescita duratura, distorce la struttura produttiva e riduce la competitività futura.
Un altro tema centrale è l’impatto demografico. Le perdite umane, l’emigrazione di uomini in età lavorativa e il calo delle nascite aggravano una crisi demografica di lungo periodo. La decisione delle autorità di limitare la pubblicazione dei dati demografici segnala la gravità della situazione. Particolarmente sensibile è la dimensione etnica: molte vittime provengono da minoranze regionali e repubbliche periferiche, con il rischio di alimentare tensioni identitarie e richieste di maggiore autonomia.
Sul piano politico, la guerra accentua le fragilità di un sistema definito «patronale», cioè clientelar-nepotista, basato sulla redistribuzione politica delle rendite energetiche in cambio di lealtà. Con la riduzione delle risorse disponibili, il Cremlino ricorre sempre più a nazionalizzazioni, confische e repressione selettiva, minando i legami che hanno sostenuto il putinismo per oltre due decenni. Questa dinamica aumenta il rischio di conflitti interni alle élite e di comportamenti estremi da parte di attori che temono di perdere posizione e sicurezza.
Sul piano internazionale la guerra rafforza la dipendenza russa dalla Cina. Pechino fornisce beni a duplice uso, tecnologie e sbocchi commerciali, ma a condizioni sempre più onerose. In cambio, Mosca offre capacità militari avanzate e cooperazione strategica, legandosi agli obiettivi cinesi nell’Indo-Pacifico. Qualunque sia l’esito del conflitto, la Russia emergerà più povera, più debole e meno autonoma.
Dopo la guerra: problemi irrisolti
Mankoff conclude che anche un eventuale cessate il fuoco aprirebbe una fase altamente instabile. Il Cremlino dovrà giustificare sacrifici enormi a una popolazione stremata, reintegrare milioni di veterani traumatizzati – inclusi ex detenuti – e ridimensionare un’economia di guerra insostenibile senza provocare nuove fratture politiche. La storia suggerisce che le difficoltà non saranno improvvise ma croniche, erodendo nel tempo crescita, coesione sociale e capacità militare. Come in passato, il vero banco di prova non sarà la fine dei combattimenti, ma ciò che verrà dopo.
28 dic 2025 | 18:38
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