La paura di unirsi


Dall’Ucraina al Mercosur: come l’orientamento dell’opinione pubblica indirizza le grandi scelte politiche
Bipartisanship? Quante volte sia il capo dello Stato sia molti commentatori hanno auspicato una convergenza fra maggioranza e opposizione sui temi cruciali della politica estera in nome degli interessi nazionali del Paese? In genere non se ne fa niente: non c’è differenza, per lo più, fra l’intensità dello scontro fra maggioranza e opposizione su questioni interne e questioni internazionali. Solo in qualche rarissima occasione non è così. Qualche volta, una convergenza, sia pure non esplicitata, non dichiarata pubblicamente, si realizza. Ottima cosa? Non è detto, perché queste rare convergenze avvengono per lo più su questioni in cui la classe politica (maggioranza e opposizione) sceglie di assecondare atteggiamenti diffusi nel Paese ma disfunzionali, dettati da paure che lo paralizzano e impediscono ai decisori politici di perseguire con coerenza obiettivi di politica estera che pure gli stessi decisori hanno dichiarato vitali. Facciamo due esempi di attualità. Non è una novità: la premier ha contemporaneamente confermato il suo appoggio a Kiev e ha ribadito che l’Italia, se e quando ci sarà il cessate il fuoco, non manderà propri soldati in Ucraina per garantire la tregua.
L’opposizione si è ben guardata dal protestare. Eppure c’è qualcosa di incongruo nel riconoscere che l’indipendenza dell’Ucraina è essenziale per la sicurezza dell’Europa e quindi dell’Italia e poi rifiutarsi di trarne tutte le conseguenze. Toccherebbe all’Onu mandare quelle truppe? Ma la sicurezza europea riguarda gli europei e spetterebbe a loro occuparsene. Quegli europei di cui, un giorno sì e l’altro pure, si dice che, venuta meno la protezione americana, devono provvedere autonomamente alla propria sicurezza. Se non che, ciò che conta, ciò che spiega l’accordo che c’è su questo punto fra governo e opposizione è l’orientamento prevalente nel Paese. Non solo i sondaggi indicano la presenza di una forte percentuale di italiani (forse superiore al 30 per cento) contraria ad aiutare ulteriormente Kiev in qualunque forma ma indicano anche che la parte più favorevole a sostenere gli ucraini è contraria all’invio di truppe dopo un eventuale cessate il fuoco. Ecco spiegato l’accordo bipartisan su questo punto.
C’è poi la questione del Mercosur, l’accordo di libero scambio con l’America Latina che a un passo dal traguardo (dopo venticinque anni di colloqui preparatori) è stato bloccato (provvisoriamente?) da Italia e Francia a causa delle proteste degli agricoltori. L’opposizione è silente. Il «comitato del no» all’accordo è attivissimo (la protesta dei trattori a Bruxelles) mentre non si vede in giro il «comitato del sì». C’è una parte dell’opposizione contraria per motivi ideologici (è quella a cui viene l’orticaria ogni volta che sente parlare di «libero scambio») e c’è un’altra parte che ripete esattamente ciò che dice il governo: servono «garanzie» per i nostri produttori. Convergenza bipartisan. Si potrebbe ironizzare sul fatto che fior di commentatori che si sono stracciati le vesti di fronte ai dazi, al protezionismo di Trump, l’orco cattivo, fischiettano e guardano dall’altra parte quando il protezionismo in gioco è quello nostrano. No ai protezionismi ma solo a quelli degli altri.
Ma anche in questo caso, come in quello del no a truppe italiane in Ucraina, l’Italia politica sta assecondando tendenze diffuse nel Paese. L’Italia, come la Francia, è un Paese a prevalente cultura statalista (chiede allo Stato e non al mercato di provvedere ai propri bisogni). In Italia, concorrenza e libero mercato non sono mai stati ideali condivisi dai più. Non si apprezzano e non si valorizzano i benefici che la concorrenza, il libero mercato, la libertà degli scambi, possono assicurare ai consumatori, se ne temono solo i possibili danni per i produttori. Non si coglie il fatto che la concorrenza è la migliore cura conosciuta per obbligare i produttori inefficienti a cessare di essere tali a beneficio di tutti. È la diffidenza per il mercato e la libera concorrenza che spiega l’assenza di robuste pressioni visibili a favore del Mercosur, è quella diffidenza che spiega perché una minoranza di produttori possa bloccare o quanto meno mettere a rischio la ratifica dell’accordo. Nonostante il fatto, evidente, che proprio la politica dei dazi di Trump rende vitale per l’Italia la ricerca di nuove strade per garantire sbocchi alle nostre esportazioni.
Non c’è forse nulla di più elusivo, di più difficile da definire, di ciò che si intende evocando l’espressione «interesse nazionale». Di solito si finisce per concludere che l’interesse nazionale altro non è che ciò che i governi, di volta in volta, dichiarano tale. In questa prospettiva, l’interesse nazionale americano in versione Biden è una cosa diversa dall’interesse nazionale americano in versione Trump. Tutto vero. Tuttavia, c’è interesse e interesse. C’è il nostro interesse a breve termine, ossia quello che a ciascuno di noi sembra essere il nostro interesse immediato. E c’è l’interesse a lungo termine, quello che al momento possiamo non vedere con chiarezza, ma dal cui perseguimento, tuttavia, dipende il nostro futuro. In democrazia i governi non possono non tener conto dell’interesse a breve termine così come i cittadini lo intendono. Ma ciò che è lecito attendersi, anche dal governo di una democrazia (qualche volta avviene), per esempio ai tempi di De Gasperi ed Einaudi, è che questo inevitabile omaggio agli interessi di breve termine sia contemperato da una attenzione agli interessi di più lungo termine. Quando si evoca la bipartisanship in politica estera è proprio a ciò che si allude: serve — si dice — una convergenza fra le forze più responsabili del governo e le forze più responsabili dell’opposizione per aiutare il Paese a perseguire, con la maggiore concordia possibile, un interesse collettivo i cui contorni spetta alla politica di indicare ai cittadini. Peccato che i momenti di accordo e di convergenza siano, per lo più, di un altro genere. C’è sempre uno scarto fra ciò che occorrerebbe fare e ciò che si fa.

22 dic 2025 | 20:17
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