La politica di potenza

Il piano per l’Ucraina e la Cina che boicotta Tokyo sono forme di «bullismo»
Punire chi dice qualcosa di non gradito o non si adegua a un ricatto. Quando si parla del ritorno delle politiche di potenza, si intende in gran parte questo: l’imposizione, da parte di chi si sente più forte e quindi con più diritti, del proprio volere. In genere con le cattive: bullismo. In questi giorni, la Cina Popolare sta portando questo metodo, che utilizza da tempo, a un livello più alto: contro il Giappone.
Il modello che usa parla anche a noi europei, drammaticamente: siamo al cospetto del «piano in 28 punti» russo-americano che è l’incontro di due bullismi. Sono sviluppi che prefigurano una vita triste in un futuro non lontano, se la coercizione delle grandi potenze diventa la norma. In particolare, se alla Russia verrà consentito di non pagare pegno per l’aggressione all’Ucraina.
Come si sa, la nuova primo ministro giapponese, Sanae Takaichi, ha detto in parlamento qualcosa che Pechino non ha apprezzato: un parlamentare dell’opposizione le ha chiesto se le manovre attorno all’isola di Taiwan da parte della Cina costituiscono una «situazione che minaccia la sopravvivenza» del Giappone; la premier ha risposto che un’invasione di Taiwan costituirebbe in effetti un tipo di minaccia alla sopravvivenza che, sulla base della legislazione sulla sicurezza nazionale del 2015, potrebbe fare scattare un’azione nipponica armata. In effetti, un’invasione cinese della vicina Taiwan scatenerebbe un conflitto dalle conseguenze catastrofiche per le isole dell’arcipelago.
È la prima volta che un primo ministro giapponese è esplicito nel sostenere il concetto di «minaccia alla sopravvivenza» parlando della Cina. Che Pechino si irritasse era nelle cose e che muovesse la diplomazia anche. In realtà, gli uomini di Xi Jinping sono andati oltre, hanno deciso di creare una crisi.
Il console cinese a Osaka ha promesso di tagliare, senza esitazione, «lo sporco collo che si è allungato verso di noi». Se continua così, fanno sapere i social media cinesi, «Takaichi dovrebbe pagarne il prezzo». Non solo: Pechino ha invitato studenti, turisti e uomini d’affari a soppesare bene l’idea prima di visitare il Giappone; alcune aerolinee cinesi hanno prontamente fatto sapere che rimborseranno il prezzo del biglietto per il Sol Levante a chi rinuncerà a partire; centinaia di migliaia di viaggiatori hanno accettato il rimborso; il debutto cinese di due film giapponesi è stato sospeso. Nel frattempo, navi della Guardia costiera cinese sono entrate nelle acque delle isole Senkaku, amministrate da Tokyo ma reclamate da Pechino, la quale sta anche bloccando le importazioni di prodotti ittici nipponici. La Cina ha cancellato un summit a tre programmato con Giappone e Corea del Nord.
La Cina non è nuova a creare «casi» quando ritiene che il suo interesse nazionale sia stato sfiorato. Negli anni, sono diventati famosi gli episodi di coercizione contro la Norvegia, l’Australia, la Lituania, la Corea del Sud, tra gli altri. Lo scontro con Tokyo questa volta è però il più rilevante. Per un verso perché il Giappone è il vicino della Cina di maggiore importanza, sia economica che politica; soprattutto, perché la crisi forzata da Pechino intende creare tensione nella politica nipponica al momento poco stabile e mettere in difficoltà la primo ministro Takaichi, dai cinesi considerata un falco allineato a Washington (che la appoggia).
Questa vicenda sembra lontana, di relativo interesse per noi europei. Il fatto è che questo modello sta affermandosi in fretta negli affari internazionali. Alle porte dell’Europa, in Ucraina, il bullismo armato di Putin si sta saldando (definitivamente?) con quello transazionale di Trump. Se l’offensiva del Cremlino, ormai ampliata a gran parte dell’Europa in forma di guerra ibrida, non fosse fermata e i 28 punti diventassero anche solo un mezzo trattato, possiamo immaginare quali coercizioni e ricatti Mosca avrebbe la possibilità di imporre alle nostre libertà, ai nostri interessi e al nostro modo di vita. Il modello che Pechino sta applicando nella disputa con Tokyo sarebbe replicato, con una brutalità mai vista da ottant’anni.
Anche l’offensiva pressoché globale di Donald Trump sui dazi ha elementi suoi caratteristici di coercizione. Il presidente americano la giustifica come correzione di «ingiustizie» commerciali ed economiche subite dagli Stati Uniti nei decenni. E in alcuni casi ha argomenti per sostenerlo. Ma è evidente che anche quella di Washington è per più di un aspetto una politica di potenza, d’altra parte quasi implicita nello slogan «America First». Il possibile piano di pace altamente punitivo per l’Ucraina concordato da Washington con Mosca, del quale si parla in questi giorni, rientra nella stessa logica impositiva: accordi tra grandi poteri. Innanzitutto, a scapito degli ucraini, ma allo stesso tempo stabilirebbe la libertà della Russia di intromettersi in Europa ancora più di quanto già sta facendo.
È chiaro che siamo entrati in un mondo nel quale le politiche di potenza, la coercizione danno forma al futuro, vedremo per quanto tempo ma probabilmente non poco. Con Washington, in qualche modo alleata storica, la debole Europa potrà forse trovare qualche compromesso. Ma quello che accade tra Cina e Giappone e tra Russia e Stati Uniti ci richiama alla realtà: se lasciato libero di correre, il bullo che ha aggredito l’Ucraina minaccerà sempre più di punire noi europei se non stiamo ai suoi voleri. La sopraffazione è ormai il gran gioco delle potenze.
21 novembre 2025 ( modifica il 21 novembre 2025 | 21:22)
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