Giappone e Germania, i due riarmi «gemelli» che segnano i fallimenti di Xi e Putin

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Cosa lega la recente crisi scoppiata tra Pechino e Tokyo e la necessità crescente in Europa di ripensare alla propria sicurezza

La crisi che è scoppiata fra Cina e Giappone su Taiwan ha come sfondo una novità storica: la prospettiva di un riarmo nipponico. È diventato urgente, è all’ordine del giorno, per le stesse ragioni per cui si sta avviando il riarmo tedesco

Sono due potenze che fecero parte dell’Asse, nella seconda guerra mondiale: così venne chiamata l’alleanza del Patto Tripartito, siglato nel settembre 1940 (ne faceva parte anche l’Italia di Mussolini). Ma il Giappone di oggi e la Germania non hanno nulla in comune con le potenze imperialiste e militariste di 85 anni fa. Hanno in comune invece due problemi: un vicino prepotente e minaccioso; un’America che non potrà garantire in eterno la loro protezione.

Xi Jinping sta risvegliando dal suo letargo geopolitico e dal suo disarmo pacifista il Sol Levante, così come Putin lo sta facendo con la Germania di Merz. I due autocrati di Pechino e Mosca finiranno per rimpiangere la Pax Americana? Alla domanda «a cosa serve l’America», potrebbero trovare una risposta sorprendente: serviva anche a loro.

Riassumo gli ultimi episodi nel crescendo di tensione Pechino-Tokyo. La nuova premier Sanae Takaichi – la prima donna a guidare un governo giapponese – ha detto in Parlamento che un’eventuale invasione cinese di Taiwan sarebbe un attentato anche alla sicurezza nazionale del Giappone. Non è un’affermazione nuova, ed è difficilmente contestabile. I legami fra Taiwan e il Giappone sono fortissimi, un’annessione militare sarebbe davvero un colpo tremendo per Tokyo. La Cina ha reagito con toni furiosi, perché vede l’eventualità che il Giappone incorpori nella sua dottrina strategica la necessità di intervenire in difesa di Taiwan, sia che lo faccia l’America oppure no.

Al momento il riarmo del Giappone – come quello della Germania – è solo un progetto scritto sulla carta. Ci vorrà molto tempo, molto denaro, e un cambiamento di mentalità nella società civile, prima che Tokyo possa impensierire seriamente l’Esercito Popolare di Liberazione (il nome delle forze armate cinesi). Però Xi Jinping vede delinearsi un problema all’orizzonte.

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Il Giappone è l’unico paese di quell’area che – per la sua storia, per la sua ricchezza, per la sua tecnologia – può aspirare a diventare un contrappeso e un argine al militarismo cinese. In una prospettiva di parziale disimpegno americano – realistico, quasi inevitabile, a prescindere da Trump – Tokyo potrebbe diventare il perno di una nuova rete di alleanze, magari insieme con la Corea del Sud e l’Australia, forse allargandosi fino all’India, per costruire un cordone sanitario che impedisca alla Cina di spadroneggiare in tutta l’Asia. 

È questo scenario la vera ragione per cui la diplomazia di Xi ha reagito in modo così virulento alle parole di Takaichi.

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La geopolitica non ama i vuoti. Se l’America riduce la sua presenza militare nell’Indo-Pacifico – e ribadisco che questo processo di ridimensionamento parziale e graduale ha una logica stringente a prescindere da chi sia alla Casa Bianca – si crea un vuoto strategico in quella parte del mondo. 

La Cina da tempo mostra i muscoli e sgomita, per allargare la sua sfera d’influenza e riempire quel vuoto: in Occidente non fanno notizia, ma le provocazioni militari della marina e della guardia costiera cinese sono in crescendo da anni contro diversi paesi limitrofi. In quell’area tutti i maggiori attori saranno confrontati con questo dilemma: diventare vassalli e succubi di Pechino, oppure attrezzarsi a riempire il vuoto lasciato dagli americani. 

L’evoluzione politica a Tokyo e a Seul, a Canberra (Australia) e Wellington (Nuova Zelanda), tutto sommato anche a Delhi, indica che è più probabile la seconda ipotesi. Sta accadendo in quella parte del mondo qualcosa di simile all’evoluzione recente in Europa: Putin con la sua aggressione all’Ucraina poteva scatenare reazioni di sottomissione, per il momento accade l’esatto contrario.

Se il riarmo tedesco è il più disastroso autogol politico che uno Zar potesse commettere (la Nato o l’America non hanno mai attaccato la Russia, la Germania l’ha invasa per due volte nel Novecento), il riarmo giapponese è un risultato altrettanto autolesionista per un leader cinese.

Ecco la risposta paradossale a quella domanda: a che cosa serve (o serviva) l’America? In Europa la Nato fu creata, come disse il suo primo segretario generale: «To keep the Russians out, the Americans in, the Germans down». Il disarmo tedesco era la conseguenza di una garanzia americana sugli assetti strategici e la stabilità geopolitica del Vecchio continente. 

In Estremo Oriente non esiste una Nato. Però le numerose e poderose basi militari Usa in Giappone, Corea del Sud, Filippine, oltre che a Guam, hanno avuto come contraltare il disarmo forzato della potenza sconfitta nella seconda guerra mondiale, il Sol Levante. 

La sostanziale assenza di una vera armata nipponica fu imposta a Tokyo nella Costituzione democratica (e pacifista) dettata dal generale americano Douglas MacArthur durante l’occupazione dell’arcipelago nipponico. Se uno scenario di riduzione dell’impegno militare americano obbliga Tokyo a riarmarsi come Berlino, Xi chiuderà il suo regno con lo stesso bilancio fallimentare di Putin. E tutti e due – se mai avessero il tempo e l’onestà per questo genere di bilanci – dovranno arrendersi all’evidenza: l’America serviva pure a loro.

17 novembre 2025, 15:26 - Aggiornata il 17 novembre 2025 , 16:49

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