Le minacce alle nostre democrazie


Il pericolo dei droni spaventa per il suo potenziale distruttivo. Ma è solo la punta dell’iceberg di un confronto planetario che oppone le democrazie liberali ai regimi autoritari
La violazione dello spazio aereo polacco è un fatto grave, peraltro il primo in cui aerei Nato hanno reagito abbattendo quattro droni russi. Il governo cinese non ha preso posizione. Sappiamo che la Cina fornisce almeno il 60% della tecnologia che serve ai droni russi. E che proprio il sostegno di Pechino consente a Putin di bombardare l’Ucraina, resistere alle pressioni americane e testare la capacità di risposta dell’Europa.
La minaccia dei droni spaventa per il suo potenziale distruttivo. Ma è solo la punta dell’iceberg di un confronto planetario che oppone le democrazie liberali ai regimi autoritari. Il fatto nuovo è che questi ultimi si stanno trasformando in un «blocco» sempre più organizzato. I suoi tentacoli si estendono ormai in molti ambiti: militare, economico, politico e ideologico. L’Occidente democratico e liberale, e in particolare le sue opinioni pubbliche, non appaiono sufficientemente consapevoli di questo confronto a tutto campo. E del fatto che i vari ambiti e strumenti fanno parte di un’unica e deliberata grande minaccia.
La più importante istituzione collettiva del blocco autoritario si chiama Shanghai Cooperation Organization (Sco), nata nel 2001 e composta da dieci Paesi dell’Asia centrale (fra gli altri India, Pakistan e Iran), più una quindicina di osservatori (fra cui i Paesi del Golfo, l’Egitto e la Turchia). La guida è di fatto esercitata da Pechino e Mosca. Il simbolo scelto per riassumere la missione della Sco è «Spirito di Shanghai». È da qui che bisogna partire per comprendere la strategia del blocco.
Lo spirito di Shanghai è una ideologia che mette al primo posto tre obiettivi: la stabilità politica dei Paesi partecipanti, il riconoscimento delle caratteristiche distintive di ciascuna «civiltà» e la difesa dei valori tradizionali. Apparentemente innocui, questi obiettivi si accompagnano al vincolo della reciproca «non interferenza», anche in caso di violazione del diritto internazionale e dei diritti umani. In altre parole, ciascun autocrate del gruppo ha mano libera nel soffocare ogni forma di dissenso, in quanto espressione di tre grandi «forze del male»: separatismo, estremismo e terrorismo. Una delle prime applicazioni dello spirito di Shanghai fu la sanguinosa repressione delle proteste anti-regime del 2005 in due repubbliche ex sovietiche, Kirghizistan e Uzbekistan. In quest’ultimo Paese, nel «massacro di Andjian» le forze governative uccisero centinaia di dimostranti pacifici, bollati appunto come estremisti. Quanto al separatismo, sappiamo che Putin ha additato questa «forza del male» come una delle giustificazioni per l’invasione dell’Ucraina, mentre Xi Jinping la evoca per rivendicare la sovranità su Taiwan.
Nella sua retorica comunicativa, lo spirito di Shanghai esalta i valori dell’eguaglianza e della democrazia. La prima è unicamente declinata come pari sovranità di ciascun Paese e pari dignità dei regimi autoritari rispetto alle democrazie liberali. Nessun riferimento al rispetto di eguali diritti per i cittadini. Il principio di tutela delle differenze fra civiltà prevale anche sul rispetto dei diritti umani fondamentali, relativizzandone portata e contenuto. Quanto alla democrazia sovrana, in assenza di qualsiasi standard condiviso, essa coincide con lo status quo autocratico, l’unico capace di contrastare «disordine sociale e caos politico».
I principi fondativi della Sco forniscono uno scudo protettivo per i Paesi membri contro il modello occidentale e al tempo stesso un prezioso strumento per attirare i Paesi in via di sviluppo. La Cina e i paesi del Golfo sono oggi i principali donatori e «patroni» del continente africano. I loro aiuti sono generosi e privi di vincoli fastidiosi (ad esempio sul piano dei diritti umani). Inoltre lo spirito di Shanghai sta erodendo il monopolio occidentale sui mezzi globali di informazione. La Cina trasmette in lingua locale nei Paesi in cui ha fatto grossi investimenti.
Insieme alla Russia, Pechino ha messo in piedi una sofisticata piattaforma per iniziative di manipolazione informativa, che nel 2024 hanno riguardato 90 Paesi, compresi Francia e Germania. Queste iniziative sono uno dei principali ambiti di cooperazione occulta della Sco. Un recente rapporto dell’Unione europea documenta l’impressionante frequenza e capillarità delle interferenze russe (in Europa) e cinesi (nell’area pacifica), a cui si accompagnano ondate quotidiane di attacchi hacker.
Fino a qualche tempo fa, la Sco era considerata una forma di «regionalismo autoritario», confinato all’Asia centrale. Come hanno anche visivamente mostrato il vertice di Tianjin e le successive celebrazioni di Pechino (con tanto di parata militare) lo spirito di Shanghai ha ormai ambizioni globali, volte a conquistare la maggioranza (di popolazione e di Stati) del pianeta.
Di fronte questa offensiva, le democrazie liberali devono alzare il livello di guardia. E soprattutto ampliare il raggio della loro cooperazione sul fronte della sicurezza: per quanto essenziale, la difesa militare non basta. La sfida dovrebbe essere colta in particolare dalla coalizione dei volenterosi, l’unico formato organizzativo che copre l’insieme delle democrazie liberali. E che è dunque la piattaforma potenzialmente più efficace nel gestire il confronto con l’intero iceberg autoritario, viste le esitazioni americane e le propensioni illiberali di Trump.
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