Moldavia e Georgia: l’Europa pecca di ottimismo?

Moldavia e Georgia: l’Europa pecca di ottimismo?
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di
Wolfgang Munchau
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Per l’Ue, il risultato del referendum rappresenta la più grave battuta d’arresto dai tempi della Brexit, anche se i governi dei paesi del sud-est europeo sono già in fila per entrare nell’Ue

Se pensate che la Brexit sia passata per un soffio, con una vittoria sul filo del rasoio, che dire della Moldavia? Domenica scorsa, il paese incuneato tra Romania e Ucraina ha indetto il referendum sull’adesione all’Unione europea e la campagna per il sì l’ha spuntata con il 50,5 percento dei voti, contro il 49,5 percento dei no. Il risultato, tuttavia, non è decisivo. I moldavi non hanno effettivamente votato per entrare nell’Ue, bensì per introdurre modifiche in tal senso nella loro costituzione. Non si tratta dunque del referendum vero e proprio, che è ancora da venire.

O forse no. Per l’Unione europea e per Maia Sandu, la presidente moldava favorevole all’adesione, questo risultato è un disastro. Avrebbe desiderato un sostegno maggiore, anche per il fatto che i precedenti sondaggi lasciavano presagire una larga maggioranza favorevole all’ingresso nell’Ue. Sandu non ha perso tempo a puntare il dito contro la Russia, accusandola di ingerenze nel fomentare la campagna per il no. I voti a favore hanno prevalso, da ultimo, solo perché sono stati raccolti anche tra un considerevole numero di espatriati, molti dei quali vivono in Romania, Ucraina e Russia.

La Moldavia è un paese situato al crocevia di due importanti culture europee, la russa e la rumena. Questa parte del mondo, in passato, era conosciuta con il nome di Bessarabia, una regione di poco più estesa dell’attuale Moldavia. Con il trattato di Bucarest del 1812, che mise fine alla guerra tra Russia e Turchia, la Bessarabia fu annessa dalla Russia. Cento anni dopo, a seguito della rivoluzione russa, la regione fu rifondata con il nome di Repubblica democratica moldava, paese membro dell’Unione sovietica. Durante l’epoca sovietica, il paese adottò l’alfabeto cirillico, benchè la lingua fosse un sotto-dialetto del rumeno, pertanto di origine latina. Con il collasso dell’Unione sovietica, la Moldavia conquistò l’indipendenza e si riconvertì all’alfabeto latino. Ciò che resta dei decenni passati è l’acerrima rivalità tra le due popolazioni, di lingua russa e moldava. La Transnistria, un’enclave russa semi autonoma a est del paese, resta l’esempio più visibile di quella spaccatura. I cittadini di lingua russa oggi rappresentano solo il 10 percento circa della popolazione totale, ma si tratta di una minoranza agguerrita e determinata, al punto da condizionare l’esito del voto, come abbiamo visto domenica scorsa.

Per l’Ue, il risultato del referendum rappresenta la più grave battuta d’arresto dai tempi della Brexit, anche se i governi dei paesi del sud-est europeo sono già in fila per entrare nell’Ue. I candidati sono nove, tra i quali la Moldavia e l’Ucraina. Un altro candidato, la Georgia, ha indetto le elezioni parlamentari sabato scorso (26 ottobre), in quello che si annuncia un nuovo test per l’allargamento dell’Unione europea. La presidente georgiana, Salomé Zourabichvili, è decisamente a favore, ma l’attuale primo ministro, Irakli Kobakhidze, si dichiara anti occidentale e anti Ue. Lo scorso maggio, governo e parlamento hanno varato la famigerata legge sugli “agenti stranieri”, che impone ai mezzi di comunicazione e alle organizzazioni non governative che operano nel paese di registrarsi come organi al servizio di potenze straniere. Ciò rappresenta, ovviamente, una mossa che allontana la prospettiva di futura adesione all’Ue.

Obiettivo principale della campagna di Kobakhidze è impedire che la Georgia venga coinvolta nella guerra russo-ucraina, al fine di sventare il rischio che venga a crearsi, nelle sue parole, un secondo fronte del conflitto. Mi chiedo se i recenti successi militari della Russia in Ucraina, e in particolar modo il passaggio a un’economia di guerra, non abbiano contribuito a rafforzare il messaggio di Kobakhidze.
Non escludo neppure l’ipotesi che il palese affievolimento del sostegno occidentale all’Ucraina sia stato un fattore influente nel voto georgiano. Ricordiamo che Putin invase la Georgia nel 2008, e se dovesse riprovarci, le probabilità che l’Occidente voglia invischiarsi in un altro conflitto appaiono assai remote. Le posizioni filo-occidentali non sono affatto scontate in questa regione martoriata dalla guerra.

Le reti sociali pullulano di immagini e filmati dei giovani e coraggiosi manifestanti georgiani, avvolti nella bandiera europea, che sfilano per le strade di Tbilisi. Ma come abbiamo visto altrove in Europa, i giovani attivisti delle metropoli non rappresentano affatto il sentire comune dei paesi caratterizzati da una vasta popolazione rurale.
L’Unione europea ha concesso alla Georgia, assieme a Ucraina e Moldavia, la candidatura ufficiale lo scorso dicembre. Malgrado ciò, sappiamo benissimo che la strada da percorrere, per tutti e tre questi paesi, sarà lunga e difficile. Tutti annoverano al loro interno comunità ed elettori filorussi, più inclini a sostenere la Russia che l’Occidente.

Quando una percentuale di quella popolazione è di lingua russa, per Putin è assai più semplice intromettersi negli affari interni del paese. Le autorità moldave hanno accusato la Russia di aver versato 15 milioni di euro ai 130.000 cittadini di lingua russa per votare di no nel referendum. Poco più di 100 euro a persona. In un paese povero come la Moldavia, quella cifra rappresenta un bel gruzzolo per la gente, e un ottimo affare per la Russia, che continuerà su questa strada.
Nel suo slancio verso l’allargamento, l’Ue talvolta sopravvaluta la sua stessa popolarità. L’allargamento, a oggi, è l’unico pilastro certo della strategia geopolitica dell’Unione europea, ma l’Ue non è in grado di controllare gli eventi.

Inoltre, l’Ue rischia di sottovalutare l’opposizione che potrebbe insorgere da parte degli attuali membri, quando verranno conteggiati i costi dell’inclusione di regioni economicamente arretrate. Ad oggi, solo Viktor Orbán, il primo ministro ungherese, ha minacciato di bloccare l’adesione dell’Ucraina. Ma prima o poi Orbán uscirà di scena. La reale opposizione all’ingresso dell’Ucraina verrà invece dalla Polonia e dagli altri paesi che oggi beneficiano delle risorse assegnate dal bilancio europeo. E la Polonia, oggi tra i maggiori beneficiari, verrebbe declassata a favore di nuovi membri. È facile essere pro Europa quando ricevi finanziamenti, tutt’altra quando sei costretto a rinunciarvi.

Per questo motivo, le speranze di un rapido e massiccio allargamento dell’Unione appaiono clamorosamente inconsistenti. L’Ue e i suoi sostenitori hanno sempre peccato di eccessivo ottimismo, per nulla giustificato se si guarda agli ultimi sviluppi. L’economia europea è in profonda stagnazione e perde posizioni nei confronti di Usa e Cina. Se non ho motivo di sospettare l’imminente scioglimento dell’Ue, né l’uscita di altri membri, esiste tuttavia il reale pericolo che l’Europa veda affievolirsi la sua forza politica e perda il suo smalto come area di prosperità economica. E questo, a sua volta, indebolirà la sua capacità di attrarre nuovi partner.

(Traduzione di Rita Baldassarre)

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