Confronto Biden - Trump, così un triste show di due anziani tiene in scacco il Paese dei giovani

Confronto Biden - Trump, così un triste show di due anziani tiene in scacco il Paese dei giovani
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Tutto parte dalla crisi del 2008: l’America degli esclusi si è affidata a una «canaglia»

Come siamo caduti così in basso? Di fronte alle ultime convulsioni della sfida Biden-Trump, il mondo intero s’interroga sul declino americano. Putin, Xi Jinping e Khamenei, compiaciuti, vi trovano conferma del tramonto dell’Occidente. Gli alleati del mondo libero sono costernati. Ma anche noi americani abbiamo il morale sotto le scarpe. I sondaggi lo dicono: questi due vegliardi che si combattono hanno una cosa in comune, sono i due candidati più impopolari della storia. 

Se Biden inciampa vistosamente, il clima in campo repubblicano non è per nulla euforico. Com’è stato possibile arrivare a questo? Eppure l’America è il Paese dei giovani. In nessun’altra parte al mondo ventenni e trentenni hanno un simile peso e autorità nel mondo delle aziende. Non a caso questa resta l’economia più dinamica, sia in termini di crescita che di occupazione. La Generazione Z ha fior di startupper e imprenditori. 

Perché il 5 novembre dovrà scegliere tra un 81enne in deliquescenza e un 78enne pregiudicato? «Tra un deficiente e un delinquente»? Al massimo, se volesse dare un voto di protesta per un candidato indipendente, può ripiegare sul 70enne Robert Kennedy Jr… 

Per capire come siamo arrivati fin qui bisogna risalire al grande choc del 2008. La crisi finanziaria accelerò una polarizzazione politica, sia a destra (Tea Party Movement) sia a sinistra (Occupy Wall Street). Il fenomeno Trump è figlio di un’America che si è sentita tradita da un’élite globalista. L’alleanza fra il capitalismo bancario di Wall Street, quello digitale della West Coast, più le élite repubblicane o progressiste, ha cavalcato dispendiose avventure imperiali per esportare egemonia e democrazia; ha stretto accordi di libero scambio che distruggevano industrie e posti di lavoro domestici; ha incoraggiato l’immigrazione deprimendo i salari operai. 

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Alle resistenze popolari esplose dopo il 2008, l’establishment ha reagito con disprezzo. Nell’era woke è stato sdoganato un nuovo razzismo: contro i bianchi non laureati, i «bifolchi», tutto è consentito. In questa congiuntura The Donald ha potuto compiere il suo golpe sul partito repubblicano della dinastia Bush, la versione di destra del globalismo di cui sopra. 

Trump ci è riuscito non «malgrado» sia una canaglia ma «proprio perché» è una canaglia. Lo ha eletto quell’America fatta di classi lavoratrici, piccoli imprenditori, non laureati che generano ricchezza ma vengono trattati come cittadini di serie B perché non rientrano nell’arcobaleno magico delle minoranze protette. A furia di sentirsi trattati come dei paria, questi americani (compresi black e latinos in misura crescente) hanno intuito che solo un vero mascalzone ha la grinta per prendere a spallate l’establishment. Niente mezze misure, no ai vari Ted Cruz e Marco Rubio, Ron DeSantis e Nikki Haley: è meglio il capo dei Soprano per cantargliele agli snob di Harvard. In quanto al resto del mondo: vada al diavolo. Un coro mondiale intona da 70 anni la litania su tutti i peccati e le malefatte dell’America. Voltiamogli le spalle, e che si arrangino da soli. 

Il vecchio Biden, nato alla politica in un’America segnata da John e Bob Kennedy, è l’immagine riflessa di questa involuzione. Dovrebbe concentrare la saggezza e la profondità storica di tre generazioni. Doveva gestire la riconciliazione con la middle class, i non laureati, l’America di mezzo. In parte c’è riuscito, donde la sua elezione nel 2020. Ma l’ora della sua prima nomination è scoccata quando nel partito democratico si era insediata l’egemonia della «sinistra resistenziale»: convinta di poter trasformare l’America con operazioni d’ingegneria sociale rivoluzionarie; convinta di essere l’unica a difendere la democrazia contro il fascismo alle porte. 

Quell’ala radicale ha finito per entrare in aperto conflitto con il moderato Biden su almeno due questioni: l’ideologia «no border» (frontiere aperte a tutti i disperati della terra, che dobbiamo accogliere perché la loro miseria è colpa nostra) e il sostegno a Hamas. Nel frattempo, negli anni in cui quell’ala radicale metteva in soggezione il resto dei dem e la Casa Bianca, si è congelata ogni riflessione autocritica sulla perdita di consenso fra le classi popolari. 

La mummia di Biden è il risultato di questa sclerosi culturale. La sinistra «antifascista» ha creduto di esorcizzare Trump attivando il milionesimo replay dell’assalto del 6 gennaio 2021. Non funziona per recuperare gli operai del Midwest, o la piccola borghesia dei black e latinos terrorizzati dall’aumento del crimine, delle tossicodipendenze, degli afflussi di migranti illegali. 

Dove sono i giovani? Una frangia si è arruolata nel Grande Risveglio Woke, come gli adolescenti cinesi nelle Guardie Rosse di Mao o quelli iraniani nei pasdaran di Khomeini. Più numerosi sono quelli che hanno deciso che la politica non fa per loro: stanno costruendo, tra le altre cose, il futuro dell’intelligenza artificiale. E vanno ai concerti di Taylor Swift. Lei forse alla fine li convincerà a votare per Biden. O a votare tout court, che non è scontato.

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